Per danzare serve un corpo. Ma questa parola, così come tutte le altre che noi usiamo nel linguaggio quotidianamente, è solo una convenzione. Di conseguenza, non per tutti esso ha lo stesso significato.
Sartre scrisse: «Lo psichico è il corpo». Ma cosa implica ciò? Potremmo spiegarlo usando, le parole di Umberto Galimberti, filosofo, accademico e psicoanalista italiano, nonché giornalista della Repubblica «noi sentiamo il nostro corpo come una certa potenza sul mondo e il mondo come il punto d’appoggio del nostro corpo». Ecco come possiamo descrivere quel legame che esiste tra il corpo e quindi la danza e il mondo.
Un corpo che danza è «un corpo che si muove di fronte e/o con altri corpi … collocandosi in uno spazio e in un tempo».
La danza è un corpo che parla, ma per farlo ci deve essere una mente che detti le parole tra vari spazi e tempi.
Fin dalla primissima infanzia l’uomo parla col corpo. Il neonato che piange manifesta un disagio, quello che ride la felicità, quello che si mette le mani in bocca la fame e così via. Quindi potremmo dire che il primo vero linguaggio che noi conosciamo è solo corporale e solo dopo, a seconda del luogo geografico ove viviamo, sviluppiamo quello verbale. In effetti, le lingue sono tante ma i gesti sono universali (un bacio è un segno d’affetto in Giappone così come lo è in Italia).
Per Mancia «possiamo pensare al linguaggio del nostro corpo che si muove e che danza… come a una forma di un linguaggio sui generis». Questo sembra, dunque, confermare la tesi, su cui si muove tutta la danza, per cui il ballo è linguaggio del corpo, degno dello stesso rispetto dei linguaggi verbali.
Ma cosa succede se la mente da far ballare soffre di qualche disturbo?
La prima cosa da indagare sono i limiti che il disagio crea ad una persona. Se essa avesse, ad esempio, paura degli ambienti chiusi, sarebbe bene allenarla negli spazi aperti (parchi, cortili, campi da gioco potrebbero andare bene). Se è un dismorfo forse è bene coprire gli specchi o il soggetto potrebbe farsi prendere dall’ansia e rifiutare le lezioni. Quello che è fondamentale in un percorso di Danzaterapia creare attorno alla persona un ambiente sicuro e protetto dove potersi esprimere.
La Danzaterapia, secondo l’APID ®, Associazione Professionale Italiana DanzamovimentoTerapia, è una pratica professionale utile a promuovere le risorse creative personali per incentivare il benessere personale e sociale, a supporto dell’armonizzazione di manifestazioni psichiche, somatiche e relazionali.
Occorre ricordare che la persona che abbiamo davanti ha una bassa e distorta opinione di sé, per cui dobbiamo sia aiutarla a mettersi in gioco che a ritrovare una propria dimensione creativa. Poiché, poi, ognuno reagisce a suo modo, il danzaterapeuta, un po’ come un buon padre, deve cambiare atteggiamenti e metodi d’interazione per adattarli e adattarsi a quante più persone possibile (giacché è umanamente impossibile adattarsi a tutti).
Sembrerà un paradosso, ma quando s’insegna danzare occorre stare molto attenti in quanto la danza, col confronto con gli altri, coi ballerini famosi e con gli specchi impietosi, stimola i disturbi del comportamento alimentare.
Ma attenzione: danzare, secondo Roger Garaudy, «è prendere parte al movimento cosmico e al suo dominio». E, se una persona dismorfa cerca proprio il controllo sul proprio corpo, non è forse questa la strada giusta per aiutarla?
di Pipan Cristina
“Il mio corpo non è un nemico” Tesi di laurea in Scienze dell’ Educazione
Bibliografia
Umberto Galimberti, Psichiatria e fenomenologia, Feltrinelli Editore, Roma. 2003
Antonio Vita, Liliana Dell’Osso, Armida Mucci, Manuale di clinica e di riabilitazione psichiatrica Volume 2, Giovanni Fioriti editore, Roma, 2019
www.apid.it
Roger Garaudy, Danzare la vita (Filosofia pratica), edizioni KKIEN, Milano, 2020