E se esistesse la possibilità di dare una forma o addirittura danzare con quelle parti di noi più buie più profonde che tendiamo ad evitare a non fare emergere perché forse il loro risveglio sarebbe troppo traumatico da riuscire ad affrontare.
È possibile danzare con le nostre ombre, l’ignoto, l’altro, il diverso il nemico ciò che non viviamo consapevolmente , con quelle caratteristiche che vengono additate come immorali, sconvenienti, peccaminose e sono quindi per lo più rimosse dalle persone per depositarsi nell’inconscio.
L’ombra è quel altro lato di noi che fa parte di noi .
Proviamo a pensare che siamo venuti al mondo accompagnati dall’ombra: venire alla luce, vuoi dire proprio emergere dall’oscurità.
L’ombra è emblema della condizione oscura del luogo delle origini, ci accoglie già prima di venire al mondo. La sagoma oscura e profonda dell’ombra prende forma insieme a noi in questo passaggio della nascita e rimane con noi silenziosa e fedele a seguire i nostri passi nel tempo, a volte anche anticipandoli.
Ma da dove arriva l’inquietudine che suscita: probabilmente dalla sua natura enigmatica.
L’ombra probabilmente è una ferita dell’essere, racconta un distacco, dall’ignoto da cui arriviamo, dal ventre della madre che ci ha accudito…
E’ una ferita che va curata, va rivista e forse una volta che riusciamo a vedere questa parte di noi proiettata su un muro , riusciamo anche a renderci conto che in fondo non fa poi così paura e che attraverso il nostro corpo possiamo connetterci con lei e danzare.
Del buio delle origini resta traccia nell’ombra, come un cordone ombelicale che unisce al mistero.