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RENDERE VISIBILE L’INVISIBILE

fibromialgia

L’importanza di una nuova pedagogia ed educazione per affrontare la scuola e la società nei ragazzi con fibromialgia

Ieri, grazie alla referente AISF per il Friuli Venezia Giulia  Eva Trinca, ho avuto il piacere di essere ospite e partecipare all’evento “Fibromialgia in Movimento” nella splendida cornice di Lateis a Sauris.

Ho conosciuto medici, volontari, specialisti e anche persone che hanno dato la loro testimonianza di convivenza con la  fibromialgia, tra cui Clarisse la più giovane paziente fibromialgica, e ho avuto anche modo di portare la metodologia della Danzaterapia Clinica come esperienza di aiuto e sostegno con persone che soffrono di questa patologia.

Durante questo incontro ho conosciuto e  parlato con Clarisse, apprendendo quanto difficile sia vivere nel mondo scolastico e  sociale con un problema come il suo.

Clarisse porta con sé un’”armatura invisibile”  dietro la quale si nascondono centinaia di sintomi, insidie e difficoltà di una malattia che ancora non viene riconosciuta come tale.

Vista la sua patologia è costretta a frequentare le lezioni scolastiche da casa, con tutte le conseguenze psicologiche ed emotive che questo comporta: nessuna o solo una minima condivisione e socializzazione con i compagni, cosa che per una ragazza della sua età è fondamentale e costruttiva perché contribuisce nella creazione di un senso di identità. L’adolescente ha un bisogno profondo di confrontarsi con i coetanei, perché solo così sviluppa nuove abilità: bisogna fare esperienza di sé nel mondo esterno per crescere. 

Clarisse è una ragazza molto speciale, matura e riflessiva, la sua enfasi e gioia nel raccontarmi le sue esperienze scolastiche mi ha travolto, abbiamo condiviso questo bisogno di una realtà scolastica e sociale in cui si lasci più spazio all’espressione dell’alunno, alla sperimentazione e condivisione , cosa che purtroppo oggi come oggi nelle realtà istituzionali non è sempre possibile.

Siamo in una scuola nozionistica che lascia in secondo piano  il sentire e l’ascolto,  relegandolo a qualcosa di non fondamentale e costruttivo. La scuola dovrebbe dar modo di sviluppare capacità trasversali, come quelle relazionali, di ricerca e approfondimento, competenze che sono ancora più utili nel mondo di oggi.

Le difficoltà fisiche con cui convive quotidianamente Clarisse, dovrebbero essere un monito per gli educatori e insegnati per rendersi conto che esiste un bisogno in lei come in altri ragazzi con diverse difficoltà, di creare e costituire una realtà educativa in cui l’alunno si senta accolto, rispettato e ascoltato maggiormente.

Nessuno deve essere lasciato fuori, in disparte o giudicato, ma tutti devono far parte dello stesso gruppo, portando ascolto ai bisogni di ciascuno.

Come possiamo crescere ragazzi che abbiano fiducia in sé stessi se i loro sentimenti, le loro emozioni e i loro bisogni non trovano ascolto?

Da Educatore socio pedagogico ho sempre lottato e mi sono sempre battuta portando nel mio lavoro l’ascolto dell’altro, dai bambini agli anziani, perché solo così le persone e i loro bisogni si possono manifestare, fare qualcosa per soddisfarli e riacquistare fiducia in ciò che ciascuno di noi è.

Viviamo in un tempo accelerato, ricco di stimoli che ci anestetizzano dal nostro sentire, cresciamo individui omologati, tutti uguali, e se hai qualche patologia rimani indietro, diventi escluso;  ma non ci rendiamo conto che siamo individui ed esseri con tempi, bisogni diversi ed è proprio  questa nostra individualità che ci contraddistingue e ci rende unici .

Clarisse è unica come lo siamo tutti noi, ha i suoi bisogni che non coincidono con i bisogni e i tempi e le esigenze scolastiche,  dobbiamo  dare la possibilità anche a lei e a tutti i ragazzi e soprattutto a chi soffre di patologie invalidanti, di potersi sentire sereni di vivere e crescere nei loro tempi, è un’ età questa che non tornerà più ed  è uno dei momenti più belli e gioiosi della vita.

Ringrazio Clarisse per la sua testimonianza, per la sua spontaneità nel raccontarmi la sua esperienza.

Non potevo lasciare nell’aria le sue parole perché devono essere un segno per tanti altri ragazzi, bambini e adulti, per  far si che la patologia fibromialgica trovi presto un riconoscimento, in modo da rendere visibile questa “armatura invisibile” che Clarisse come tante altre persone portano con sé. 

 

Dott.ssa Cristina Pipan

Educatore Professionale socio-pedagogico

Danzaterapeuta Clinica.

 

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