Per anni, il dolore è stato un visitatore persistente. Non un ospite gradito, ma un maestro severo. Arrivava con la violenza di un’onda, mi strappava dalla quiete e mi costringeva ad un’immobilità urlante, fino a prostrarmi. Quel vomito non era solo una reazione fisica, ma la manifestazione di un rifiuto profondo, l’espulsione forzata di qualcosa che l’anima non poteva più digerire.
Ho intrapreso un lungo viaggio, non verso la clinica migliore, ma dentro di me. Ho cercato la causa non in un’entità esterna, ma nella sinfonia disarmonica della mia esistenza. Cosa stava cercando di dire la mia anima attraverso lo strumento che abita? Perché il corpo, la mia casa terrena, si ribellava con tanta forza?
E così, passo dopo passo, ho iniziato a rimuovere le spine dalla mia vita. Ho cambiato direzione, ho modificato i ritmi, ho imparato a dire “no” dove prima dicevo “sì” per inerzia o per compiacenza. E miracolosamente, il dolore ha mutato la sua voce. Non mi urlava più contro; ha iniziato a parlarmi, con una tonalità più sommessa, ma altrettanto inequivocabile.
Il vero insegnamento non è stato nella cura del sintomo, ma nell’arte dell’osservazione. Ho imparato a guardare non solo cosa mangiavo, ma come nutrivo il mio spirito. Ho notato come l’aria che respiravo cambiasse a seconda di chi frequentavo, di quante maschere indossavo, e di quanto spazio rubavo a me stessa in nome di doveri autoimposti.
Il dolore è il corpo che urla, sì, ma non per punire. Urla perché l’anima, inascoltata, ha bisogno di indicare una nuova rotta. È la bussola interna che impazzisce quando deviamo troppo dalla nostra autentica direzione. Richiede presenza e ascolto radicale – una devozione che è facile promettere nell’ora della sofferenza, ma troppo spesso dimenticata nel ritorno alla fretta quotidiana.

Un Messaggio per Chi Soffre Inascoltato
Questa mia esperienza non è solo mia; è un ponte verso tutti coloro che convivono quotidianamente con un dolore persistente. A tutte quelle persone che si sentono dire, con superficialità o ignoranza, che si stanno “inventando” tutto, che sono “troppo sensibili” o persino “pazze”.
Vi dico: il vostro dolore è reale. Non è frutto di immaginazione, è il risultato di un conflitto, di una stanchezza, di un carico che la vostra struttura non può più sostenere. Il corpo non mente mai. È l’ultima trincea, il fedele servitore che si ammala per farvi fermare, per implorarvi di guardare in profondità.
Per chi, come me, ha scelto di accogliere e sostenere altre persone attraverso trattamenti e percorsi di aiuto: sappiamo che il nostro ruolo è creare lo spazio sacro e sicuro dove il dolore possa essere finalmente espresso senza il timore del giudizio. Siamo qui per tenere la mano a chi sta imparando a decifrare il proprio linguaggio segreto interiore. Il nostro lavoro è onorare la verità del corpo.

La Coerenza è la Cura
L’anima ci chiede di cambiare. Ci chiede di essere “diversi”, di ritrovare la nostra lentezza sacra, di onorare il nostro ritmo unico. Questo percorso spesso ci rende “anormali” o “associali” agli occhi di un mondo che celebra la velocità e l’omologazione. Ma chi stabilisce il confine tra normalità e autenticità? Chi può giudicare se la coerenza con il proprio Sé sia un difetto, anziché la forma più alta di rispetto per la vita che ci è stata donata?
La vera guarigione non è un punto di arrivo, ma una manutenzione costante di questa coerenza. È il coraggio di danzare al proprio ritmo, anche quando la musica degli altri è più forte.
Ho fatto la mia parte, ho imparato la lezione che il dolore voleva impartirmi, e in questo processo la sua voce si è affievolita. Ma la ricerca continua, perché la vita è un continuo invito a evolvere.
La porta è aperta. Non so se questa sia la fine di una malattia o l’inizio di una vita nuova, più allineata. So solo che, da questo momento in poi, ho scelto di non temere più il messaggero, ma di abbracciare il messaggio. E spero che anche tu, che leggi e soffri, possa trovare il coraggio di dare al tuo corpo il microfono e all’anima l’ascolto che meritano.
Cristina Pipan




