PRENDIAMOCI “CURA” DI CHI “DÀ LA CURA” – LA DANZATERAPIA CLINICA A SOSTEGNO DEI “CAREGIVERS”

Abstract

Quest’articolo è una riflessione di un breve percorso di Danzaterapia Clinica rivolto alla figura del Caregiver all’interno dell’Associazione De Banfield di Trieste (associazione che si occupa di malati di Alzheimer e dei loro familiari a Trieste). Partendo dalle basi teoriche delle Neuroscienze che vedono la connessione mente – corpo, possiamo osservare come questa terapia non verbale può influire ed essere di sostegno alle difficoltà psichiche e fisiche che i caregivers vanno incontro nel sostegno al loro famigliare malato.

Daniel J. Siegel afferma che la “mente è un processo incarnato e relazionale che regola i flussi di energia e informazioni” (Siegel 2017 pag.2); la mente è nel corpo e ha connessioni con tutto il corpo, ha la capacità di interconnettere informazioni all’interno del Sistema Nervoso Centrale, tra un cervello e l’altro e con l’ambiente. La mente è relazionale fin dalla vita fetale, i nostri circuiti neurali sono in continua modificazione grazie alle nuove esperienze che facciamo durante la vita. La mente, come sistema vivente complesso e aperto, tende ad andare verso uno stato ordinato e integrato, riceve informazioni da differenti fonti esterne ( movimento, vista, tatto…) e interne (fame, sete, caldo…), attivando dei pattern neurali e creando una rappresentazione mentale dell’informazione. Fare esperienza, implica che il nostro corpo abbia una risposta emozionale: a livello fisiologico avviene una modifica del campo chimico, mentre all’interno del nostro cervello si generano nuove connessioni neuronali, dando forma così alla nostra mente, ovvero ciò che noi siamo. Nel corso della nostra vita possiamo andare incontro a esperienze o compiti fortemente coinvolgenti ed eccessivi dal punto di vista emotivo, cognitivo o sociale, quando questa condizione, che il medico austriaco Hans Selye definisce con il nome di stress1 , viene a persistere in modo permanente, vi è anche un maggiore rischio di soffrire di depressione, fino all’insorgenza di patologie psico-fisiche, come rileva una ricerca dell’Università della California. 2 Gli effetti dello stress sul corpo sono orchestrati dall’ipotalamo. Quest’area agisce come un radar sensibile a quei nodi mentali carichi di ansia, paura e interpreta tutti i messaggi come una minaccia, emettendo subito un segnale di avvertimento al corpo: per cominciare la ghiandola pituitaria e la corteccia surrenale secernono gli ormoni dello stress, che giorno dopo giorno agiscono sul nostro sistema respiratorio, cardiovascolare e immunitario.

Ciò che è fondamentale in queste situazioni, è dar modo agli stimoli esterni di venir elaborati attraverso il processo di mentalizzazione. Tale processo ci permette di percepire e comprendere gli stati mentali e il comportamento proprio e degli altri, permettendo così di riconoscersi come soggetto responsabile e protagonista delle proprie azioni. Tutto ciò permette di regolare le emozioni e risulta fondamentale per una valida regolazione psicosomatica e un’adeguata gestione dello stress.3 La Danzaterapia Clinica, attraverso il movimento, ci permette di narrare, con il corpo, le emozioni, le immagini, i pensieri, le sensazioni che aiutano a dare un senso alla vita, alle azioni, ai vissuti. Durante un incontro di Danzaterapia Clinica facciamo un’esperienza corporea, abbiamo una percezione, attiviamo i nostri neuroni e più l’esperienza motoria è ricca, più i circuiti neuronali sono ricchi di intrecci e ramificazioni Occuparsi quotidianamente di un malato di Alzheimer, può diventare una delle principali fonti di stress a cui l’individuo va incontro. “Fare il caregiver”, è un vero e proprio lavoro che occupa molto più del tempo pieno tradizionale, con conseguenze su molti aspetti della vita; al caregiver viene chiesto di rinunciare parzialmente alla sua vita e tutto si deve riadattare in funzione dell’altro. Alcuni dati: In Italia si stimano 1.241.000 persone affette da demenza, di cui oltre 600.000 con malattia di Alzheimer. Circa l’80% dei malati, vive in famiglia, che sopporta costi umani ed economici estremamente gravosi. 4 In una relazione con un famigliare affetto da demenza, manca la reciprocità, è un rapporto che oscilla da un massimo del rifiuto ad un massimo di accudimento e porta spesso il caregiver al ”burn out” con conseguenze sul piano psichico e fisico. Cosa si può fare per prevenire questa situazione? Il caregiver, prima di tutto, deve accettare la malattia del famigliare (difficile e apparentemente impossibile, visto l’enorme coinvolgimento emotivo), riconoscere che ha dei limiti e deve trovare lo spazio e il tempo per i suoi bisogni, nella convinzione che se prima non cura sè stesso, non può dare all’altro la cura necessaria. Per poter essere ancora più incisivi, nell’accompagnare e sostenere i caregivers nel loro impegno di cura, l’Associazione De Banfield di Trieste, ha avviato un nuovo servizio, “CasaViola”, una “casa” per i caregivers, ovvero uno luogo di incontro e condivisione, in cui si può ricevere sostegno psicologico ma anche servizi per il benessere psico-fisico della persona. All’interno dello spazio di “Casa Viola”, è stato proposto un percorso di Danzaterapia Clinica svoltosi tra novembre e dicembre 2019, che ha visto la partecipazione di un cospicuo gruppo di caregivers. La Danzaterapia Clinica è una terapia nel senso che sostiene, si prende cura dell’altro attraverso la clinica, ovvero l’osservazione di un corpo-mente che si muove, nel qui e ora di ogni soggettiva improvvisazione e fuori da ogni giudizio . 

La Danzaterapia Clinica , offre ai propri pazienti , occasioni dinamiche di espressione di sé, di potenziale cambiamento e quindi, opportunità di accesso alle risorse creative e vitali di ciascuno.5 (Manuale di clinica e riabilitazione psichica Volume 2, Giovanni Fioriti Editore, Roma 2019 pag. 725) Nella Danzaterapia Clinica, il nostro corpo/mente, danza continuamente nello SPAZIO, nel TEMPO in relazione con Sé e l’altro. La Metodologia lavora attraverso degli strumenti che sono: IMMAGINI, quindi simboli, metafore, OGGETTI STIMOLO (bacchette, teli colorati, cerchi, elastici,…), mediatori di qualità del corpo e della relazione, PAROLE MADRI (ad esempio: “sono un’onda”…”le mia mani sono pennelli”…), parole cinetiche che parlano al corpo, generando azioni e la MUSICA. Parlare al corpo, significa dialogare con quelle parti di noi che le neuroscienze chiamano memorie implicite e procedurali che hanno a che fare con esperienze non coscienti, né dichiarabili a parole, ma sono sensoriali ed emotive. (Manuale di clinica e riabilitazione psichica Volume 2, Giovanni Fioriti Editore, Roma 2019 pag. 727) Gli incontri di Danzaterapia Clinica si strutturano all’interno di un “setting”, costruito dallo spazio fisico in cui si svolge l’incontro, dal gruppo che vi partecipa e dal conduttore. Il “setting” è un contenitore stabile, dove restaurare la fiducia di base attraverso l’osservazione e il rispecchiamento empatico, dove non vi è interpretazione, confronto né giudizio. 

Il caregiver , per poter assistere un famigliare malato, deve in primo luogo agire su se stesso, trovando dei tempi di cura di sé; partendo da questo presupposto, gli obiettivi del percorso erano rivolti a risvegliare la capacità di ascolto di Sé, a riconoscere i propri confini, a creare una relazione funzionale con l’altro e con il gruppo, dove il dare e il ricevere oscillano in modo più equilibrato che in una relazione con un malato e di favorire uno spazio di espressione, creatività, comunicazione e ben-essere, stimolando inoltre il riconoscimento e la gestione delle proprie emozioni. Il percorso si è svolto in 5 incontri di un’ora ciascuno, una volta a settimana. Il gruppo era composto da 8 utenti donne di età compresa tra i 50 e i 75 anni. Ogni incontro era così strutturato: una parte iniziale, per permettere alla persona di entrare gradualmente nell’esperienza, una parte centrale, dove si lavorava su un tema e una parte finale, per ricondurre la persona verso l’esterno, al termine era previso anche un tempo per la verbalizzazione.

DESCRIZIONE SULLO SVOLGIMENTO DEGLI INCONTRI E BREVI RIFELSSIONI

Gli incontri iniziano con un “riscaldamento”, dove viene proposta come consegna una camminata nello spazio della stanza, prima senza la musica e poi attraverso l’accompagnamento dello stimolo musicale. Lungo le pareti della sala si definisce il “disegno dinamico” di un cerchio, in cui ogni soggetto segue il compagno davanti, di conseguenza il centro della sala appare vuoto. Osservo quanto accade e porgo delle consegne attraverso le Parole Madri: “cambio direzione”…”cammino in avanti”…”all’indietro” . Successivamente ogni utente comincia ad uscire allo scoperto e a percorrere direzioni proprie, attraversando il centro della sala o altri spazi. Negli incontri successivi le utenti camminano all’indietro, in avanti e cambiando direzione, senza che io formuli le Parole Madri. 

 

 

L’utente, mi riferisce, della sua difficoltà nel non sentire l’altro tempo della musica. Nell’incontro successivo, propongo come consegna, di camminare in coppia seguendo lo stimolo musicale; osservo che l’utente cammina allo stesso tempo della compagna ma ripresa la camminata da sola ritorna nel suo tempo: il danzaterapeuta , mantenendo il proprio sguardo clinico aperto, dà spazio e tempo affinché ciascuno possa, intanto esprimersi e poi, a modo suo, cambiare. E’ frequente riscontrare in questi utenti un iper- coinvolgimento emotivo nell’assistere il loro caro, si comincia a vivere in funzione dell’altro, perdendo così il proprio “spazio” . Proprio con l’idea di riconoscere e definire il proprio spazio da abitare e in cui sentirsi a casa, è stato proposto lo stimolo della “bolla”. Le utenti sono state condotte attraverso l’utilizzo delle Parole Madri come ad esempio: ”creo una bolla attorno al mio corpo”, a costruire attorno a loro una “bolla”, dove poter danzare. La “bolla” è diventato poi quell’Oggetto Immaginativo, con cui si sono relazionate ed hanno incontrato l’altro. 

 

 

Proviamo a riflettere sul fatto che nella nostra quotidianità siamo abituati a camminare sempre in avanti, questa esperienza della camminata, ha offerto un’occasione dinamica di espressione di sé e di potenziale cambiamento di differenti come del cosa, dove il cosa rappresenta l’azione (camminare) e il come le diverse modalità di agire sull’azione proposta (cammino in avanti, all’indietro). Soffermandomi ancora su questa prima fase dell’incontro, introduco uno stimolo musicale. La musica proposta si sviluppa su una doppia possibilità ritmica: una pulsazione principale all’interno della quale è presente una suddivisione binaria, quindi, offre la possibilità di camminare su due tempi diversi. Tutte le utenti camminano seguendo il tempo della pulsazione, mentre un’unica utente segue il tempo della suddivisione, ne consegue che cammina più velocemente delle altre.

E’ interessante osservare, la cura con cui alcune di queste utenti hanno costruito la “bolla”, le braccia si sono aperte e le mani hanno disegnato la bolla attorno ad ogni parte del loro corpo: probabilmente un bisogno di avere un proprio spazio ben definito da poter abitare. Per altre utenti, la creazione di questa bolla si è limitata ad un piccolo spazio vicino al corpo, sembrava quasi riflettere questo aspetto tipico del caregiver, in cui, per doversi prendere cura dell’altro, si perde la consapevolezza dell’esistenza dei propri confini. Partecipavano agli incontri anche utenti con difficoltà nel movimento per problemi fisici; il loro movimento seppur limitato, era comunque presente. Queste utenti si sono sedute e hanno danzato chiudendo gli occhi: attraverso l’immaginazione, è avvenuto il movimento del corpo, sebbene in modo più introspettivo, ma comunque funzionale. Pensiamo al funzionamento dei neuroni a specchio: quando un soggetto vede o immagina un’azione, nella sua area premotoria, si attiva il pattern motorio necessario al compimento dell’azione, ovvero, si verifica un atto motorio potenziale, una “simulazione interna” del movimento immaginato o osservato , che potremmo definire come una “danza di neuroni”. Ciò che è importante in questa esperienza di Danzaterapia Clinica, non è tanto il compimento dell’azione, ma la comprensione dello scopo dell’azione cioè delle intenzioni motorie. 

Durante gli incontri abbiamo lavorato sulla relazione: lavorando in coppia, è stato sperimentato, attraverso la danza, uno scambio alla pari (cosa non possibile quando si assiste una persona con Alzheimer); l’Oggetto Stimolo consegnato, come i teli colorati e i cordini, ha svolto il ruolo di mediatore nella relazione con l’altro. Le utenti sono in coppia, ognuna tiene una estremità di un cordino (Oggetto Stimolo), le Parole Madri sono: ”danzo con la mia compagna unita da questo legame” . Osservo due aspetti già notati nel lavoro sulla “bolla”, in alcuni casi l’oggetto rimane sempre in tensione, mentre in altre coppie il cordino è completamente molle e le mani sono vicine. La lunghezza di questo cordino, segna un limite che mi permette di scegliere la distanza che desidero tenere nella relazione con l’altro. Le esperienze interpersonali tra due individui, come afferma D.J. Siegel, portano all’attivazione dei meccanismi di integrazione di flussi di energia e informazioni nel sistema nervoso. Ciò comporta ovviamente anche il contrario: esperienze in cui la comunicazione è compromessa (esempio con il malato di Alzheimer), avranno un impatto negativo sulla crescita dei circuiti neurali integrativi. (Siegel 2017, p.331). 

Al termine del percorso le utenti manifestano il loro entusiasmo sul lavoro fatto. L’ora trascorsa insieme veniva percepita come un tempo molto breve, arrivavano agli incontri stanche , esaurite e al termine la sensazione era cambiata, si sentivano più vitali. Un’utente durante un incontro ha fatto emergere una sensazione di tristezza attraverso il pianto, ha raccontato poi come dopo un paio di giorni dall’incontro, si sentiva più “leggera”. Attraverso il percorso fatto, hanno avuto modo di sentire parti del loro corpo che non sentivano da molto, inoltre, poter decidere di avere un proprio spazio in cui danzare, ha generato internamente una sensazione di libertà; un’utente mi racconta che attraverso la danza è riuscita a svolgere dei movimenti che prima non era in grado di fare. Una signora, la più anziana, nonostante la sua difficoltà a muoversi, spiega che sentire la musica e chiudere gli occhi, la riportava a quando da giovane ballava e assieme al ricordo emergeva una sensazione di serenità e spensieratezza. La situazione di disagio e fatica che vivevano fuori, durante l’incontro sembrava svanire, il loro corpo/mente era nel “qui ed ora” , vivendo questo momento come una possibilità per staccare e prendersi uno spazio tutto per Sè.

Autrice

Dr.ssa Pipan Cristina

Educatore professionale Socio-pedagogico

Insegnante di Danzaterapia Clinica 

Bibliografia

Schott-Billmann France, Quando la Danza guarisce, FrancoAngeli , Milano 2019

 Siegel Daniel J., La mente relazionale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017

 Vita, Dell’Osso, Armida Mucci, Manuale di clinica e riabilitazione psichica Volume 2, Giovanni Fioriti Editore, Roma 2019

1 STATE OF MIND Il giornale delle scienze psicologiche www.stateofmind.it

2 ARS TOSCANA (Azienda Regionale di sanità) “Un aiuto per chi aiuta” L’Atelier Alzheimer nelle parole dei caregiver” University of California television, “New Sientific Strategies for Managing Stress Building Resilience”, uctv.tv, Conferenza della dottoressa Margaret Chesney, disponibile su Itune University

3 Mentalizzazione e integrazione psicosomatica del Sé Franco Baldoni Univeristy of Bologna www.researchgate.net

4 www.alzheimer.it

5 Manuale di clinica e riabilitazione psichiatrica volume 2 Antonio Vita, Liliana Dell’Osso, Armida Mucci pag.726

 

6 Siegel Daniel J., La mente relazionale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017 p.331

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